"L'anno scorso ho scoperto la Finlandia; ho cominciato quest'anno scoprendo Firenze. Dopo tutto, è una questione di ordine alfabetico. Tutto ciò ben si addice alla mia nevrosi, che unisce ambizioni enciclopediche e manie rigorosamente metodiche. Prima della Giamaica dovrebbe venire la Francia" Giorgio Manganelli.
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mercoledì 15 ottobre 2008

Democratica felicità




Molti anni fa mi è capitato d'intervistare un vecchio e ricco antiquario italiano per una prestigiosa rivista di antichità e design. Un’ultima vetrina pubblicitaria per un uomo che era famoso per saper vivere bene, per essersi circondato di oggetti bellissimi anche in tempi difficili di guerra e di povertà generale. Così ebbi l'occasione di visitare le sue case, botteghe e depositi pieni di opere d’arte: la cosa andò per le lunghe e finimmo per parlare della sua vita di ottantenne e della mia di ventenne. Mi ricordo che quest’uomo divertente, colto, piuttosto cinico, se non maligno, mi disse che la felicità può essere definita solo da poeti o da monaci. Siccome non sono un poeta, un monaco o un ricco antiquario non so se sono mai stato felice; ma a quaranta anni vissuti piuttosto intensamente per uno storico dell’arte tra viaggi, amori, diverse avventure intellettuali nel mio studio o in un archivio di carte centenarie, posso dire di essere stato spesso contento in diversi luoghi del mondo dall’Alaska alla Cina, soprattutto insieme a donne intelligenti e belle. Come mia moglie che sopporta la mia smania futile di girare, cercare, volere capire questo e quello. Da ragazzo egocentrico qual'ero provavo grande forza nei momenti liberi dalla scuola o dal lavoro in un prato al margine fresco di un bosco in un assoluto trasporto di sogno ad occhi aperti. Così pensavo allora che la felicità fosse il raggiungimento di un luogo celeste lontano da tutte le servitù che avrei dovuto sopportare con gli altri e con me stesso, un posto di assoluta libertà. Però nel ritorno in città mi riportavano al contatto con il mondo vero immagini brutte e belle. Sguardi inquieti di ragazze agitate dalla propria avvenenza, schiene stanche di donne anziane e scontente, poi finestre aperte su case di gente piuttosto preoccupata ( quelle che pure oggi s’incontrano nelle periferie italiane), all’opposto luoghi pieni di segni magnificenti, forme perfette di un vivere secondo un' estetica tanto atavica quanto trapassata. Sicuramente oggi relitti, messaggi in bottiglia che navigano nel mare schiumoso degli aggeggi della tristezza post-industriale. Sono stati i palazzi vetusti e le statue di Firenze a guidare i miei interessi verso la storia e i suoi segni, facendomi perdere il senso infantile di una libera felicità senza impegno e fatica. Una felicità singolare, del tutto personale, troppo personale.Quelle cose belle avevano richiesto fatica, e fatica richiedono a me oggi per goderle appieno, illudermi di capirle. Anzi l’illusione della comprensione dell’opera d’arte è quello che mi da ora una senzazione di contentezza. Ma tutto questo non sarebbe che ridicolo e patetico se non ci fosse la gioia del contatto con gli altri. Prima c’e’ quello dell’amore cui alludevo, poi il rapporto con chi ascolta quello che insegno, chi legge quello di serio che scrivo. E facendo questo mediocremente ritorno sempre a farlo di più e ancora, magari meglio, in una continua rincorsa. Le case di gente come me sono spesso piene di oggetti morti, cioè fatti per gente morta secoli fa; anzi ho visto amici e colleghi, o semplicemente conoscenti- come un collezionista incontrato in questi giorni fa a Taipei- animarsi, agitarsi per chi guarda e ascolta le lore esperienze, e in un voodoo (ovviamente sempre diverso per ognuno) caricare di energia quegli oggetti di tomba per renderli d’improvviso vivi per chi assiste queste cerimoniee istantanee, fortissime: di esposizione dello spirito, dimostrazione del grande supremo egoismo di fare partecipi gli altri di qualcosa di difficile e raro che si è capito e che momentaneamente si possiede. Un senso ritrovato per invenzioni ben definite da antichi artefici. Cose che rivivono un attimo nei nostri discorsi, nello scambio di chi vuole apprezzarle oggi, contento di parlarne in felice libertà.